Francesco Ippolito

Un dono di oscura passione - incipit

"Nelle cave d'insondabile tristezza
dove il destino già m'ha relegato,
dove mai entra raggio roseo e gaio,
dove solo con quell'ospite rude ch'è la Notte,
Sto come un pittore condannato
da un beffardo Dio a dipingere sulle tenebre,
dove, cuoco di funebri appetiti,
faccio bollire e mangio questo cuore...."
(Charles Baudelaire, Le Tenebre)

Il mio nome è stato legato ad un libro nelle cui pagine altro non vi era narrata se non l’ascesa di un uomo in un inferno fatto di depravazione e piaceri proibiti. L’autore di quel libro ha però plasmato una vicenda di suo gusto e inventiva, volutamente omettendo un’altra storia, fatta di disperazione e miseria, di solitudine ed emarginazione così, mentre si tessevano lodi al suo genio creativo, la mia esistenza veniva dimenticata dal mondo e confinata in un limbo di fantasia. Non voglio parlare oltre di quel libro, come del suo autore, ma di quella che è stata la mia esistenza in seguito ad aver conosciuto lei, Elizabeth.
L’immortalità è un concetto di difficile comprensione, un mito per chi crede che niente possa sfuggire alle implacabili mani del tempo. Tutto ciò che non si è capaci di esprimere con il verbo della razionalità viene confinato in un mondo di tenebra, l'ignoto, dove ha inizio la mia storia, capace di fare di me quello che verrebbe considerato un vampiro. Ma per quanto sia affine alla sua figura, non posso mutare il mio aspetto ne sono dotato di alcuno oscuro potere, tutto ciò che sono è un uomo dannato, posseduto da un demone che richiede un irrinunciabile, macabro tributo di sangue per permettere a questo corpo di continuare a vivere. Non sono mai riuscito ad immaginare qualcosa di più vicino alla dannazione eterna e, cosa forse ben più grave, fu una mia libera scelta, dettata da una passione a cui non volevo rinunciare, un amore che finì con l’ossessionarmi. Perché il più nobile dei sentimenti può portare alla follia, a prendere consapevolmente le decisioni sbagliate, ad agire seguendo una coscienza irrazionale e perversa.
Ricordo con amarezza i piaceri dell’immortalità e con il passare del tempo tutto diviene un peso insopportabile; muoversi furtivamente tra le ombre della notte in cerca del calore della vita, saziarsi avidamente tra le braccia di stranieri e vivere, mai appagati e soddisfatti, sentendosi marcire nell'animo perché ormai privati di ogni emozione. In questa realtà non resta altra consolazione dei ricordi che, come una armata di spettri, accompagnano il feretro di un futuro già noto dove nulla ha più senso, dove la solitudine diventa un abisso di monotonia e silenzio.
Gli anni scorrono veloci lasciandosi alle spalle storie di uomini che con le loro opere o gesta hanno influenzato la storia, ma per una leggenda non è così. Una leggenda vive di luce propria e il tempo, la storia, altro non fanno se non trascinare stancamente il suo mito, mutando il suo status di essere superiore in una infelice creatura, esiliata dal mondo degli uomini e dalle loro emozioni, anche le più semplici.
Io e Elizabeth vivevamo circondati dai vizi e dal lusso, consapevoli di un mondo che stava evolvendosi ignorando la nostra esistenza, era questo il prezzo da pagare per godere della sua passione ed io lo avevo accettato, ma non quando una parte di lei, che fino allora mi era sconosciuta, emerse rivelando antichi, raccapriccianti orrori.
Non ho memoria di quanti anni siano passati vivendo tra le mura di quel castello, teatro di storie terrificanti, dove il sangue e il suo odore hanno adornato le sue antiche stanze. Iniziai a reprimere la mia inquietudine trascrivendo nei diari i miei ricordi, ma quando tutto fu troppo opprimente da poter essere sopportato oltre abbandonai quel luogo sospeso tra realtà e incubo, lasciando sola con il suo perverso piacere per la morte la mia sposa.
Quei luoghi antichi e dormienti, con le loro storie di misteriosi riti pagani e superstizioni ancora vive erano a me estranei, desideravo solo tornare nella mia terra, l’Inghilterra, dove credevo avrei potuto trovare la serenità che cercavo, ottenuto risposte e forse perfino felicità.
L’eco di una risata riecheggiava spesso per i bui sotterranei dei miei nascondigli e torturava la mia mente portandola sull’orlo della follia. Sentivo che era lei, la mia compagna di eternità che avevo abbandonato e che ora mi reclamava al suo fianco. Pronunciavo il suo nome, sussurrandolo appena con sincero terrore, rompendo così l'assoluto silenzio che mi circondava. E la vedevo, nella sua nuda femminilità adagiarsi su corpi seviziati appagando la sua fame di vita. E sentivo i suoi gemiti di piacere sovrastare le urla di dolore delle sue vittime.
Elizabeth....Sola in quelle stanze odoranti morte e delirio.

Il testo completo è in attesa di pubblicazione.